Toma piemontese

Le origini della Toma piemontese risalgono all'epoca romana, ma solo in documenti dell'XI secolo si trovano citazioni che la identificano con precisione. Incerta è l'etimologia della parola toma, che viene usata in Piemonte, in Valle d'Aosta, in Francia e in Sicilia; potrebbe forse riferirsi alla fase di caduta della caseina durante la coagulazione, che in dialetto è appunto detta "tomè". In ogni caso la denominazione richiama il nome tradizionale del formaggio prodotto nella relativa zona di produzione, costituita in prevalenza da territori montani e pedemontani.

Come si consuma
La Toma piemontese, oltre che come formaggio da tavola, può essere usata come ingrediente per la preparazione di primi piatti o come ripieno per quiches, magari abbinata a vini rossi come il Ghemme Docg, il Fara, il Boca e il Sizzano Doc.

Come si conserva
Una volta acquistata, la Toma piemontese va conservata in frigorifero a una temperatura ottimale di 4°C, avvolta nella carta di confezione e chiusa in contenitori in modo da non farle assorbire gli odori delle altre vivande.

Come si produce
La Toma è prodotta con latte di vacca proveniente da una o più mungiture consecutive. La massa, fatta riposare in una caldaia per un massimo di 12 ore, è poi portata a temperatura di coagulazione. Si immette quindi caglio di vitello e durante questa fase occorre rimescolare il latte e poi lasciarlo riposare per 30-40 minuti. Verificata la consistenza della cagliata ottenuta, si procede a una prima grossolana rottura e a una breve sosta, che favorisce un primo massiccio spurgo del siero. Si procede poi a un'altra spianatura della massa, accompagnata da un ulteriore riscaldamento. La rottura della cagliata si protrae fino a che i grumi abbiano raggiunto le dimensioni di un chicco di mais o di un grano di riso, a seconda che si voglia ottenere il formaggio a latte intero o a latte parzialmente scremato. La massa viene poi lasciata riposare per alcuni minuti, per dar modo alla cagliata di depositarsi sul fondo, separandosi dal siero. La cagliata raccolta viene messa in fascere e, dopo una prima pressatura, lasciata sgrondare dal siero superfluo in ambienti idonei; durante questa sosta, che varia dalle 3 alle 24 ore per il formaggio a latte intero e dalle 3 alle 72 ore per il formaggio a latte semigrasso, il formaggio subisce più rivoltamenti. Si procede poi alla salatura, che può avvenire a mano con sale grosso, come da tradizione, per non oltre quindici giorni, oppure in salamoia, da 24 a 48 ore, a seconda della dimensione delle forme. La stagionatura avviene nelle tradizionali grotte o in ambienti idonei e ha una durata minima di sessanta giorni per le forme di peso superiore a 6 chilogrammi e di quindici giorni per le forme di peso inferiore.

La scheda è tratta dal sito www.naturalmenteitaliano.it (il portale promosso dal Ministero delle Politiche agricole e forestali e dalle Regioni italiane, in collaborazione con Ismea e Ice).